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Nord del Granparadiso

  • Immagine del redattore: Mattia
    Mattia
  • 13 apr 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Dovete sapere che le mie non sono fotografie facili, a volte scatto in condizioni precarie, al freddo, con guanti spessi o con un vento che taglia la faccia, spesso per far spazio alla mia Canon nello zaino rinuncio a cibo, vestiario e comodità. Quella volta rinunciai a un sacco a pelo invernale per uno ultraleggero e questa è la storia di quella fresca notte.

Nasce tutto da un messaggio, il mio amico Adriano in settimana trova qualcosa da fare per la domenica, mi manda la relazione e io accetto, così, senza tanti fronzoli e discussioni. La Nord del Granparadiso pare fosse in condizioni eccellenti, un paio di mesi prima l'avevamo vista facendo la normale con gli Sci, che dire, alcune pareti ti sembrano in-scalabili, ripide, terrificanti, poi capisci che non è mai così tragica come sembra, le senti più vicine, alla tua portata, ti chiamano.

L'estate prima eravamo saliti in vetta per la normale dal Rifugio Vittorio Emanuele, 3 volte sul Granparadiso in meno di un anno, aveva senso? Si, nonostante ci siano più montagne che giorni in cui scalarle, poteva avere senso, dopo la prima ascesa avevo intuito l'imponenza di questo «massiccio», in effetti c'era ancora molto da scoprire, un pò come andare a Parigi e soffermarsi solamente sulla Torre Eiffel insomma, c'è sempre molto altro intorno.

Anche nella logistica della gita vera e propria si dimostra quanto siamo scappati di casa, partenza alle 19.30, dopo aver lavorato tutto il giorno, ore 22.00 ormai al buio accendiamo le pile frontali e ci incamminiamo, altre 2 orette di camminata per l'avvicinamento, una del quale sulla neve, e per rallegrare lo spirito succede che l'aria ci fa capire che non sarà una nottata delle più miti, poco dopo il Rifugio Chabot la traccia svanisce e per qualche minuto ci ritrovammo a vagare senza sapere la direzione a causa anche di una leggera nebbia. Puntualmente i miei conflitti esistenziali interni mi affliggono, ho freddo, fame e sonno, oltre ad almeno 15 kg di zaino, non sappiamo se la strada e giusta e quanto dormiremo, se dormiremo. Nel pieno dei miei pensieri ritroviamo una vaga traccia che va pian piano migliorando, non sappiamo esattamente dove siamo, ma è come se davanti a noi ci fosse la nostra parete, non la vediamo ma la sentiamo, sappiamo che c'è, è lì, ne siamo certi. L'orologio di Adri indica 3000 m di quota circa, la neve è croccante sotto i ramponi, cerchiamo una «piazzola» in piano poco lontano dalla traccia, montiamo la tenda, i picchetti non sono sufficienti e la tendiamo con picozze e bastoncini. Il bivacco per la notte è pronto, tra le nubi che si atteggiano come un banco di pesci ogni tanto si apre uno spiraglio di cielo, qualche stella fa momentaneamente capolino, vorrei starmene li comodo e con il naso all'insù a fare qualche fotografia, ma sono sudato e ci saranno -7 gradi, meglio rintanarsi. Una volta in tenda srotolo il mio sacco a pelo ultra light e ripenso alla mia scelta di rinunciare al caldo per fare alcune fotografie, ma ormai è tardi, metto tutti gli strati possibili, mi infilo e concordiamo la sveglia, sono le 00.30 e circa 3 ore dopo ci saremmo svegliati. Vi direi una bugia dicendo che ho dormito quella notte, faceva freddo, e sembrava di essere sommersi da spifferi, si sta rannicchiati soffiando dentro il sacco a pelo, e quando ci si stira un pochino il freddo ti fa tornare in riga, insomma, chi me lo c'è lo fa fare chiederete voi? Vedrete, le cose belle hanno un passo lento e c'è sempre un meraviglioso arrivo per chi sa aspettare. Quelle poche ore sembrano un'eternità, mi giro e rigiro, sonnecchio a sprazzi e spesso mi sveglio dal freddo, finché arriva quella fase in cui vorresti solamente metterti in cammino per muoverti, ricordo che ad un certo punto nel pieno dei miei drammi sentii dei passi distinti sulla neve chiaramente dura poco lontano dalla nostra tenda, qualcuno era già in cammino, passa qualche secondo e faccio: «Adri andiamo» e lui «Si», era chiaramente anche lui nella mia stessa situazione. Strisciamo fuori dal sacco a pelo, metto il naso fuori, una stellata pazzesca, la vena si è chiusa, non capisco più niente, voglio andare, gli scarponi sono due blocchi di marmo, li indosso e i piedi ci metteranno un'oretta ad andare in temperatura.



Facciamo lo zaino, alleggerito dal superfluo che lasciamo nella tenda nella speranza che il vento non la porti via. Davanti a noi almeno una dozzina di frontali strisciano sulla traccia, è buio pesto e ci incamminiamo, la neve pare cemento e scricchiola sotto i ramponi, uno dei rumori più belli del mondo.

Come descrivere questi primi passi? Ricapitolando il giorno precedente dopo aver lavorato tutto il giorno avevo guidato 2 ore, camminato 3 con la tenda a spalle, e altre 3 ore erano quelle in cui avevo provato a dormire, belli riposati insomma, perché tutto questo? “Non me lo so spiegare io”, per dirla alla Tiziano Ferro.

"E' quasi sempre bello se dal buio arriva il giorno", per rimanere in tema musicale, il cielo inizia a schiarirsi quando ormai siamo sotto la parete Nord, ma questa volta non ci sarà nessuna alba spettacolare da vedere e fotografare con calma, non succedono queste cose sulle Nord, 600 metri di dislivello di neve, ghiaccio, ombra e gelo sono davanti a noi.



La parete attacca su una enorme spaccatura da oltrepassare con un atletico salto alla olio cuore con tanto di picozze, oltrepassato questo ostacolo dove la quota inizia decisamente a farsi sentire abbiamo alzato lo sguardo, la luce era sufficiente per vedere cosa c'era davanti, uno scivolo lungo mezzo chilometro largo forse 100 metri, al centro una traccia scalinata solca questa enorme parete. Iniziamo a salire questa infinita scala di neve e ghiaccio, procediamo come ragni, ramponi e le picche sono estensioni dei nostri arti.



E' questa la scala che porta al paradiso? Proprio come cantavano i Led Zeppelin? Non lo so, cosa certa è che i polpacci bruciavano a forza si squat ad alta quota, ma dopo un paio d'ore finalmente scolliniamo. La traccia termina sulla cresta, qualche metro di quota al di sotto della vetta, immaginatevi come ci si possa sentire dopo aver dormito praticamente nulla, dopo ore di camminata con la frontale e altrettanto tempo passato su una parete completamente all'ombra. Sbuchiamo come operai da un tombino, la luce è accecante, appena gli occhi si abituano mi trovo una distesa infinita di nuvole e mi dico:”Cavolo, non ho mai preso l'aereo ma deve essere proprio così!!”.



Gli ultimi minuti sotto la vetta sono stati meravigliosi, il passo era lento, ma non per la fatica, bensì per la voglia di ammirare il panorama stupendo che mi circondava, poteva essere vero? Cosa avevamo fatto? Quando si è stanchi e ci si scontra con così tanta meraviglia il dubbio sporge spontaneo.



Arriviamo sotto la punta, non perdiamo tempo in foto rito, non ci interessa la vetta ma bensì il percorso che portava a essa, l'adrenalina cala e ci immettiamo sull'eterna discesa verso casa. Penso che nulla sia così intenso come l'alta montagna, così mozzafiato da sembrare surreale, un videogioco, un sogno. Neanche un pizzicotto ti può far svegliare, quando sei lassù non ti rendi conto di dove sei e di quello che stai facendo, è solo tutto bianco e azzurro. Forse lo capisci sulla strada del ritorno, forse giorni dopo.


 
 
 

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