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La mia IronBike

  • Immagine del redattore: Mattia
    Mattia
  • 16 set 2021
  • Tempo di lettura: 18 min


L'Iron Bike...il primo ricordo che ho risale a quando avevo 14/16 anni, stavo mangiando cena, ad un certo punto alla TV parte un servizio al TG Regione! Dicono che è partita L'Iron Bike, una gara di Mountain Bike assurda, vedo questi ciclisti pedalare in posti dove solitamente la gente fatica a camminare, percorrono creste e discese ripidissime. Il percorso viene tracciato tramite delle IB a bomboletta, anni dopo inizierò a vederle sulle nostre Alpi. Rimango stregato, il mio amore per la bicicletta doveva ancora nascere e mai avrei pensato che un giorno avrei fatto parte di quel gruppo di matti.



Le due ruote.

Seppur forte, quel ricordo resterà sedimentato per anni, il mio ciclismo si limita a quello che facevano i coetanei, trovarsi e vagare per le vie del proprio paese, impennare e fare qualche "acrobazia", non poteva essere considerato uno sport, ma bensì un mezzo di locomozione. Eppure io sulle due ruote mi son sempre trovato a mio agio, nel fuori strada possibilmente, mio padre mi fece salire su una motoretta poco dopo aver tolto le rotelle dalla bicicletta, proprio quella moto diete inizio a una grande passione, i motori e le due ruote. Per tutta la mia infanzia la priorità è stata avere la benzina nel serbatoio per poter scorrazzare per colline con i miei amici di una vita, quante cadute, quante botte ho preso, forse lo so solo io, nonostante ciò questa passione mi fece ardere per oltre un decennio. Perché il fuoristrada? Perché non è mai banale, ti chiede testa, energie fisico-mentali, un'attenzione millimetrica a dove metti le ruote, perché in pochi secondi devi fare decine di cose insieme per far scorrere il mezzo, perché è imprevedibile e non stufa mai, ma sopratutto perché ti permette di esplorare.



La montagna.

Lo dice anche il nome stesso, noi piemontesi viviamo ai "piedi" dei monti, è assurdo negare il legame che abbiamo con essi, vivono con noi, sono sempre li all'orizzonte a vegliarci silenziosamente, da loro sgorga l'acqua che beviamo, li ammiriamo la mattina prima di andare a lavorare e alla sera quando ritornando a casa il sole scompare dietro essi.

Credo davvero che il primo uomo comparso sulla terra vedendo le montagne abbia provato il desiderio di scalare, all'uomo moderno, dopo migliaia di anni di evoluzione, questo bisogno primordiale non è ancora passato. Fin da piccoli ci arrampichiamo sugli alberi, saliamo sulle giostre, ci attirano le cose grandi e alte.

Tutto questo per dire, qual'ora non si fosse ancora capito, che alcune persone crescono, ma continuano a fare le stesse cose che facevano da piccoli, con la stessa magia, cambiano solo le distanze e i mezzi. Non so identificare bene il primo ricordo legato alla montagna, ma lei ha fatto sempre parte della mia vita, da piccoli andavamo alla capanna Morgantini, praticamente sulla Via del Sale, in seguito le prime camminate ai piedi del Monviso con mio padre, per poi arrivare alle prime uscite in autonomia, pura magia, ecco come la descriverei.

Ci tengo a precisare che per me la montagna non è uno sport, ma un ambiante dove farne, come una palestra naturale, probabilmente preferirei guardare la TV sul divano piuttosto che pagare il biglietto per correre, pedalare o sollevare pesi fissando un muro sotto un tetto di cemento sulla testa, sento che la montagna è il mio luogo, sto bene, come quando una scarpa calza alla perfezione.


La svolta.

Forse qualcuno di voi si starà chiedendo: "Ma come ha fatto questo a passare dai giretti in moto e le camminate in montagna, a pedalare per 8/10 ore al giorno?". Domanda lecita, la conversione è avvenuta in qualche anno, ma è stata innescata da un fatto, curiosi di saperlo?

Un giorno di parecchi anni fa decido di passare la notte al bivacco Boerio, ai piedi del Mongioia e del Monte Salza, in una zona di poco sopra i 3000 m con paesaggio semplicemente lunare. Era già tramontato il sole quando bussa qualcuno alla porta del Bivacco, si infilano due ragazzi vestiti da bici, la cosa mi è sembrata subito assurda, parlando capisco che hanno sbagliato qualcosa e hanno fatto tardi, dicono di aver fatto più di 2000 m di dislivello, assurdo, mi chiedo come sia possibile farli in un giorno, andiamo a dormire. L'indomani parto con ancora il buio per andare a vedere l'alba sul Monte Salza, quando scendo incrocio i due biker con le bici in spalla mentre fanno il mio stesso percorso, matti, io faticavo a piedi, poco dopo li vedo scendere dalla vetta, surfano sui detriti di pietra come fosse neve, un sogno per gli amanti della guida off-road. Rimango folgorato, cioè, ve la faccio breve, dentro di me penso: "questi salgono, faticano, scendono come fulmini, cambiano due/tre valli in un giorno, tutto questo in montagna in mezzo a paesaggi mozzafiato, è così semplice".

Come avevo fatto a non pensarci prima?.



Pedalare.

Pedalare è stato bello fin da subito, la cosa che rappresenta maggiormente il mio concetto di libertà. Era un caldo giorno di metà Giugno del 2016, la mattina ritiro una bicicletta comprata da Cicli Groppo senza sapere se mi sarebbe piaciuto o no questo sport, di pomeriggio parto con dei pantaloncini senza fondello, una maglia di cotone, senza casco e senza borraccia. Faccio un giro che passa vicino alla castagna granda di Monteu Roero, torno a casa completamente sfinito, con un male terribile alle chiappe e con una sete mortale, da qual giorno è stato amore.

Pedalare per me non è semplicemente un hobby, una passione o un passatempo, è una necessità, mi fa stare bene.

Perché proprio la bicicletta? Bhe, perché basta muovere le gambe e vai dove vuoi, c'è qualcosa di più bello?.


La forza di volontà.

Per quanto puoi desiderare una cosa, non basta volerlo, devi lavorare duramente per ottenerla, i sogni non ti vengono a bussare alla porta. Può sembrare assurdo ma spesso un ciclista amatore fa più sacrifici di alcuni professionisti. Lavori tutta la settimana duramente 8/10 ore al giorno, cerchi le energie per uscire in bicicletta un paio di sere a settimana, nel weekend al posto che riposare, metti la sveglia ancora più presto, ti alzi, mangi, stai in sella 6/8/10 ore, torni a casa, fai la lavatrice, stendi, mangi, vai a dormire. Quando fa freddo e dovresti stare sul divano a vedere la TV pedali, quando fa caldo e dovresti essere in piscina con gli amici pedali, quando sei stanco e dovresti andare a dormire presto, pedali.

Questo come altri sport non fa sconti a nessuno e non ti perdona niente, ti chiede una totale dedizione, un ruolo fondamentale c'è l'hanno amici e parenti, se accettano la tua frequente assenza, ti vogliono davvero bene.

La cosa più difficile da allenare è sicuramente la testa, è il muscolo più forte del nostro corpo e si allena esattamente come le gambe, se quello che vuoi fare sono delle gare lunghe devi raggiungere lo stato mentale di dover pedalare qualsiasi cosa ti colpisca, le crisi sono inevitabili, devi continuare a muoverti, sempre. Fame, sonno, caldo, freddo, vento, dolori e crampi non devono intaccare mai la tua lucidità, è la mente che forgia il corpo, non viceversa.


Il sogno.

E' sabato mattina, per colazione mi sbrano 2 etti di riso, non ho dormito molto e ho addosso il classico carico di stanchezza della settimana lavorativa. Guardo un po di TV senza pensare troppo, ma è inevitabile, sono passati 3/4 anni dalla prima volta che ho pensato di partecipare all'IronBike e tra poco meno di 6 ore appenderò il numero alla bici per la mia grande avventura. Mi sento un po stupido ad aver riposto così tante aspettative su una "semplice" gara in MTB, la società odierna ci ha abituato che i grandi obbiettivi della vita sono una laurea, comprare casa, trovare un lavoro stabile, ma è proprio così? Mangio il mio riso e penso che ho investito anni di energie in una spericolata gara di bici, continuo a mangiare e rifletto. Forse i veri traguardi della vita sono quelle cose che ci fanno sentire vivi, perché nei momenti bui non è un diploma o una casa a farti stare meglio, sono i ricordi, e io voglio collezionarne il maggior numero di belli. Finisco il riso, prendo la valigia e chiudo casa, direzione Entracque.


Fine delle chiacchiere.

Day 1: E' l'ora di pranzo e arrivo con i miei genitori e bici al seguito a Entracque, l'aria è fin da subito frizzante, tende già montate e gente ovunque. Ritiro numero e pacco gara, sistemo le ultime cose sulla bici e inizio a gironzolare un po, gli italiani al via sono una decina, la restante parte è composta da spagnoli, olandesi, tedeschi, portoghesi e tantissime altre nazionalità. Sembrano tutti fortissimi, tutti con biciclette al top, e più penso alla mia front in alluminio e più mi sento male. Poco prima della partenza viene fatto un breafing dove si spiega il prologo, abbiamo davanti a noi 7 tappe e sono abbastanza tranquillo che il prologo sarà leggero, che errore. Al via sotto il gonfiabile "Iron" giallo ho il cuore a mille, non sono così lucido da capire che sono li davvero, è inspiegabile quanto tempo ho aspettato per vivere questi attimi, si parte. Inutile dire quando vadano forte i primi, ma lasciando da parte gli alieni anche tutti gli altri non scherzano, il ritmo non ha nulla a che invidiare a una Granfondo, dopo una prima salita lunga ci sono un susseguirsi di strappi micidiali e alcuni tratti a piedi, gambe dure e polmoni in fiamme e sono solo alla prima ora in sella. Lasciandomi dietro i miei errori di valutazione sui ritmi tenuti, taglio il traguardo e mi lascio alle spalle i primi km di questa avventura. Monto la tenda, doccia, e arriva l'ora di cenare. Qui è come la colonia dell'oratorio di quando eri bambino, di giorno tutti giocano per poi trovarsi la sera attorno alla stessa tavola, inizio a conoscere alcuni dei personaggi con la quale passerò questa settimana, neanche uno apparentemente "normale".


Day 2: Dormire in tenda non è esattamente sulla lista delle cose consigliate per il perfetto riposo, ma fa parte del gioco, mi vesto, smonto il tutto e consegno la mia valigia al furgone che me la restituirà la sera, colazione abbondante e via. Si parte in gruppo, so che sarà lunga e inizio fin da subito ad andare ad un passo blando. A pochi km dal via, poco prima del Valasco inizio ad avere un problema alla ruota libera posteriore, mi arrabbio, provo a mantenere la calma, ma penso al peggio, ragiono e mi faccio tutti i calcoli per potermi in qualche modo trascinare fino al meccanico a oltre 40 km da dove ho avuto il problema, tutto questo quando proprio al ristoro del Valasco vedo Lorenza in bici, una manna dal cielo, cambio ruota istantaneo e la costringo a fare la discesa del Valasco senza catena e freno, infiniti grazie non basteranno a pareggiare i conti con quella ruota.

Risolto il problema parto per la prima prova speciale, transito sul sensore del cip e imbocco l'eterna e scassata strada che porta al Colle di Valscura, pedalabile solo e metà, arrivato in cima inizio a capire cosa mi spetta, è bastato uno sguardo per capire quale sarebbe stato il calibro delle discese di questi giorni, sentiero largo quando il manubrio, pietroni ovunque, tornanti ripidissimi dove la bici va girata in equilibrio, devi essere un tutt'uno con essa, deve fare quello che vuoi tu la bicicletta, non quello che vuole lei. Poco dopo la metà della discesa la sorpresa è trovare una dozzina di Carmagnolesi dell'omonimo Cai sul percorso, tutta benzina nel serbatoio, grazie. Scesi a Vinadio c'è giusto il tempo di riempire le borracce e si riparte per fare prima Neirassa, incantevole colle con una discesa da brividi su uno scosceso traverso detritico, per poi arrivare a Sambuco, li inizia "la salita infinita" che porterà sull'altopiano della Gardetta, l'aggettivo infinita utilizzato nel breafing lo capisco solo verso metà, la sofferenza ti assale, dopo 6/7 ore di gara hai davanti 13 km di salita oltre il 10%. Ricordo a un certo punto avrei voluto fermarmi, hai una vocina che te lo dice, fermati! Non mi sentivo in grado neanche di mangiare andando avanti, ma zittendo le brutte voci nella testa mi trascino su senza sganciare una volta i piedi dai pedali. La ricompensa è magica, l'altopiano della Gardetta quando scollino è irradiato da una luce rossastra classica del tardo pomeriggio, i colori dei prati prendono mille sfumature, la Meja brilla di luce propria, la bellezza di quell'attimo cancella le quasi 9 ore di fatica. E' incredibile come un luogo che ormai conosci alla perfezione sia ancora in grado di emozionare, diminuendo il passo pedalo fino al Rifugio Fauniera dove finisce la prima tappa. Sono demolito ed è soltanto il secondo giorno.



Day 3: La notte è gelida, mi sveglio quando ancora il sole non c'è, sono circondato da mucche mentre smonto la tenda completamente fradicia. Consegno la borsa e mi metto appollaiato vicino all'arco di partenza, nell'attesa dei primi raggi di sole caldi. Attraversare l'altopiano della Gardetta di primo mattino è sicuramente la "colazione" migliore che si possa avere, spesso alcuni paesaggi nutrono di più di quello che mangi, il percorso prevede di scendere ad Acceglio. Qui i ricordi iniziano a bussare insistentemente, ero bambino quando son stato qui per le prime volte, la salita al monte Bellino è inevitabilmente un bagno di emozioni. Ricordo quando mio padre mi portò per la prima volta, quell'impressione di essere dall'altra parte del mondo, lontanissimo da casa, un posto quasi mistico da raggiungere, poi le gite negli anni si sono ripetute fin quando passandoci in bici pensavo un po impaurito a questo giorno. Questa salita è poesia, parti tra le case di un piccolo paesino di montagna, passando per quella zona boschiva montana, fino ad arrivare sulla luna, dove a causa della quota non nasce neanche un filo d'erba. Mi sembra di conoscere ogni sasso di quella salita, ogni curva della discesa mi sembra di conoscerla come i pulsanti che premi al buio la notte in casa. In seguito si percorre parte della val Varaita fino a risalire il Colle del Prete, qui la nebbia ci fa compagnia su tutta la dorsale che divide Gilba e Martiniana, una discesa lunga e distrutta ci porterà poi a Revello per la fine della tappa dove trovo i miei genitori e Dario ad aspettarmi. Più tardi vengo raggiunto da Sergio Groppo, Claudio e Lorenza, piccolo check alla bici, sostituzione ruota e biretta.


Day 4: Un po di ansietta c'è, da qui in poi non ho la minima idea di come il mio corpo possa reagire, mangio, pedalo al mio ritmo ma sopratutto ascolto il mio corpo. La prima prova speciale ci porta a salire e scendere l'enorme complesso di cave di Rucas, un giro che in moto facevo in qualche ora, oggi in bicicletta mi costa mezza giornata, male alle gambe e diversi jolly giocati sulla discesa che porta in Val Pellice, neanche il paesaggio è d'aiuto, la nebbia ci farà compagnia per buona parte della giornata. Dalla Val Pellice una salita eterna e senza un attimo di respiro ci porta al Colle Chiot del Cavallo, spezza gambe, come se non bastasse anche la prima parte della discesa è drammaticamente ripida e viscida, da fare a piedi. Una lunga discesa e un po di articolati sentieri ci portano a fine tappa a Prarostino, dove tutto il paese è in festa per il nostro arrivo, il calore della gente è stato davvero molto forte qui. La cosa veramente strana di questa lunga giornata è che il mio corpo sta reggendo meglio di quando pensassi, sto bene, non particolarmente stanco, ma solo dal giorno dopo l'Iron avrebbe iniziato a picchiare duro con tappe molto più camminate, vado a dormire fiducioso.



Day 5: La sveglia non è stata delle migliori, mettendo il naso fuori dalla tenda capisco che non fa affatto bello, a un certo punto l'umidità ti entra nella testa, dormi nella tenda bagnata, la richiudi fradicia la mattina seguente, la monti umida la sera, idem per la roba da vestire, il casco, i completi da bici, le scarpe, tutto prova a piegarti. Mi vesto e vado a fare colazione, oggi si camminerà tanto. La prima parte della giornata passa sotto una finissima nebbia che ti entra nelle ossa, tutto è viscido, le attenzioni a come freni e dove metti le ruote deve essere triplicata per non fare errori, non sto granché bene, stringo i denti e riesco ad arrivare più o meno a posto anche alla partenza della seconda prova. La mia tendenza è sempre quella di non ascoltare i pareri della gente, non sono quasi mai oggettivi, una salita più essere definita durissima ma magari il motivo è una crisi, al contrario spesso capita che ti dicono che è facile ma è perché stavano bene. Fatto sta che al ristoro tutti dicono che la prossima salita è un disastro, alcuni si sono portati le doppie scarpe per poter camminare e pedalare al meglio, mantengo la mia linea di pensiero, mangio, riempo la borraccia e transito al via della prova. Dopo pochi minuti dal via mi rendo conto che molti delle voci che avevo sentito erano fondate, la prima parte di salita era un traverso durato circa un'ora, da fare quasi interamente a piedi composto da radici, erba, pietre, fango, il tutto condito da qualche ora di pioggia leggera del mattino, massacrante. Tra uno scivolone e l'altro, ovviamente con la bici per mano o sulla schiena, questo lungo traverso finisce su una bellissima strada militare che porta al Colle Cialancia, il tempo migliora e arrivo ai piedi del colle con un ventaccio contro non indifferente ma con il sole, qui un ultimo pezzo a piedi porta allo scollinamento. Direte voi:"Che senso ha spingere la bicicletta o addirittura portarla in spalla?" Semplice, non ne ha, non è ciclismo, è una cosa diversa. Non deve avere per forza tutto senso, deve piacere, se basta spingere la bicicletta qualche ora per poter mettere le ruote su alcune discese, è un prezzo che molti sono disposti a pagare. Adoro i colli stretti di alta montagna, quelli che creano quasi una "V", spesso larga qualche metro. La fame di paesaggi viene saziata non appena scollino, la conca dei 13 Laghi è bella da perderci la testa, un singletrak che costeggia diversi laghi e vari ruderi militari ci porta in centro a Prali, un altro giorno in paradiso.


Day 6: La Svolta. In quello che sarebbe dovuto essere il giorno più duro succede qualcosa, la notte è stata gelida, al mattino indosso la solita roba umida del giorno prima e faccio colazione con il k-way, c'è 1 grado. Il vallone di Prali è stretto, io insieme agli altri partenti aspettiamo lo spuntare del sole come fosse aria pura dopo una lunga apnea. Quando parto sono ancora gelato per bene, andando allegro per "scaldarmi" noto fin da subito che sto davvero bene, di gambe e di fiato, dopo qualche km sarebbe iniziata la prova speciale. Decido di rischiare, la voglio fare a tutta, sono oltre il giro di boa e credo di avere energie per potermi trascinare alla fine. La salita è prima una strada bianca non troppo ripida, poi un sentiero tecnico con tornantini e gradini vari molto ripidi, alcuni tratti vanno fatti a piedi, è indescrivibile la sensazione delle gambe che girano come vuoi te, quanto vuoi te e senza sentire esageratamente la fatica, qualcuno la chiama banalmente "giornata si" ma io credo che le giornate si non arrivino da sole, bisogna un po costruirsele. La prima prova passa in un battito di ciglio, continuo a stare bene, un lungo trasferimento di sali e scendi ci porta a Balziglia dove ci aspetta il ristoro prima della seconda prova. Qui dicono che in circa 3 ore si arriva al Colle Albergian, quando ti danno certe tempistiche il morale non fa salti di gioia. Prendo fiato, sto bene e transito al via. Il Colle Albergian è una di quelle gite che gli escursionisti fanno in mezza giornata, a piedi, partendo dalla macchina, oggi questo Colle va salito bici in spalla, dopo 6 ore di gara. All'inizio della salita mi rendo conto di non avere tanti concorrenti davanti, ma sto bene e salgo al mio ritmo, il sentiero è altalenante, piccoli tratti pedalati, scendi, cammini, spingi, risali, pedali, scendi, spingi, insomma, 2 ore così, la mente e le gambe devono star dietro a tutti questi cambi di ritmo. Con la bici in spalla mangio per non perdere tempo, mentre quando la spingo riesco a bere dalla borraccia. Potrà sembrare assurdo tutto ciò per uno da metà classifica, ma io quel giorno stavo bene, volevo arrivare a scendere tra i primi il colle. A circa metà salita passo un concorrente ignaro che fosse il primo, a pochi metri dal colle sento l'addetto ai numeri dire per radio che il primo concorrente sta transitando, il mio cervello si spegne all'istante. Non ricordo neanche com'è fatto il Colle Albergian, sono arrivato in cima, mi sono chiuso la maglia e ho imboccato la discesa come non ci fosse un domani. Davanti non c'è nessuno e non perdo neanche un secondo a guardarmi indietro, penso solo a guidare, penso solamente ad ascoltare quello che le pietre mi dicono attraverso il manubrio, la bicicletta fa esattamente quello che voglio, mi sento un tutt'uno con lei, una sensazione pazzesca, la discesa è eterna e richiede uno sforzo mentale forte, ogni pietra sulla tua strada va valutata e eventualmente schivata, ogni radice, ogni curva, ti chiede energie. Taglio il fine prova per primo, mangio qualcosa e riparto per il fine tappa, a Villaretto arrivo tutto solo, non così significante ai fini della classifica perché quello che conta davvero sono i tempi delle prove cronometrate, però sapete cosa vi dico? Si vive di questi attimi.



Day 7: Fuori dalla confort-zone. Non è ancora spuntato il sole quando un temporale mi sveglia, il rumore della pioggia in tenda è bello ma non quando è una settimana che passi più ore a pedalare che a dormire. Esco dalla tenda e piove, mentre mi cambio mi sto già bagnando, chiudo la tenda completamente fradicia, i 10 minuti impiegati a chiudere la valigia sono sufficienti per infradiciarmi ancora prima di partire. Penso a quello spagnolo che la sera prima chiese al breafing le previsioni del tempo ricevendo come riposta un bel:"Che differenza fa? Tanto devi partire lo stesso". Sono seduto su una sedia sotto un gazebo e sto gelando ancora prima di partire. Soltanto qualche settimana prima durante uno di quei weekend di allenamento duro, nonostante il tempo pedalai ugualmente per 5 ore sotto la pioggia, ora capisco il senso di quell'uscita. Parto sotto una discreta pioggerella, dopo pochi km imbocchiamo la strada dei cannoni di Fenestrelle, quasi un'ora per fare una manciata di km di radici bagnate, sassi scivolosi come sapone e aghi di pino sparati ovunque addosso, mi chiedo chi me lo fa fare. Si sale sempre di più, da Pian dell'Alpe inizia a piovere a 45 gradi, il vento taglia ogni parte del corpo non coperta, fa davvero freddo, tutta la strada dell'Assietta è un agonia, non so come sia possibile arrivare fino a sera in queste condizioni. Vado quasi a tutta pur di scaldarmi, raschiando il fondo del barile delle energie rimaste, ad un certo punto, quasi come per magia ho la sensazione di uscire dalle nuvole, il Colle Basset è all'orizzonte e man mano inizio a scaldarmi, gli ultimi km prima di Sestriere sono su una strada di terra battuta avvolta di verdi prati che a perdita d'occhio "fumano" riscaldati dal sole, una di quelle immagini che trovi come sfondo sui computer. Mani gelate, piedi fradici, fango ovunque ma ancora una volta dimentico tutto grazie a qualche raggio di sole. Si scende fino ai piedi di Cima del Bosco, al ristoro mi dicono che sono il primo ad arrivare, assurdo, mangio, riempo le borracce e imbocco il sentiero in salita senza fermarmi troppo, a metà salita ho un dejavou, mi rendo conto di essere già stato li qualche anno prima in une di quelle gite dove si andava in un posto senza conoscerne il nome, che storia. Si scende su un non banale singletrak fino a Thures dove mio padre mi aspetta alla partenza dell'unica prova cronometrata di giornata. Inizio a essere bello cotto ma transito al via con la consapevolezza e la voglia di soffrire, è quasi fatta mi ripeto, non devo avanzare nessuna energia, a casa non mi serve a nulla, devo lasciare tutto qui. Alcune rampe quasi tutte pedalabili portano prima al lago Nero, poi al lago dei 7 Colori, come descrivere questo luogo? Il mare della Sardegna ma a 2000 metri di quota, folgorante, negli ultimi metri di salita mi guardo indietro e non vedo nessuno, com'è possibile? Non lo so, sto bene e mi spremo per togliermi gli ultimi sali e scendi di una dorsale fantastica tra Monginevro e Cesana, una lunga e veloce discesa porta prima alla fine della prova poi alla fine della tappa. Me la godo, respiro, mi sembra di non toccare terra con la bici da quanto sto bene, mi sento vivo, dopo qualche km inizio a riconoscere il centro di Cesana, un sentiero lungo il fiume conduce prima in centro, poi a curvare sul Ponte della via principale dove passo sotto l'arco gonfiabile di fine tappa, mio padre è li ad aspettarmi, c'è tanta gente ad aspettare l'arrivo di "noi matti". Taglio il traguardo pensando che è quasi fatta, domani è "corta".


Day 8: Tanto per cambiare nella notte c'è stato un bel temporale, avevo steso la mia ultima maglia sulla bici e quando la prendo la devo strizzare più volte, fa freddo ma ci tengo ad arrivare al traguardo con la divisa del team, indosso la maglia gelata, mangio qualcosa e poi mi fiondo alla partenza nell'attesa che qualche raggio di sole mi aiuti a uscire da questo perenne stato di freddo/umido che ho addosso da giorni. Non è ancora finita questa avventura e già mi dispiace, mi sento esattamente come l'ultimo giorno di scuola, quando hai passato dei momenti bellissimi con i tuoi compagni e sai che per qualche mese non li rivedrai. Potrà sembrare assurdo quello che sto per affermare ma è così, l'Iron è una famiglia, dal primo in classifica all'ultimo, provano tutti le tue emozioni, tutti abbiamo sofferto per arrivare fino a qui, e nonostante abbia sempre avuto grosse difficoltà a integrarmi in un gruppo, qui sono circondato da persone come me, la maggior parte di esse non parlano neanche la mia lingua, eppure basta uno sguardo per capirsi, non serve parlare quando bruci dello stesso fuoco. Oggi è corta ma non è una passeggiata, basta una stupida caduta a mandare in frantumi anni di preparazione, lucidità fino all'arrivo mi ripeto. Le prove cronometrate sono 2 oggi, la prima consiste in un sali e scendi ai piedi dello Chaberton, per niente banale, sto tutto sommato bene e mi spremo come si spreme il dentifricio quando ti sembra finito ma invece c'è ne ancora un pochino, penso che noi umani siamo delle macchine eccezionali, con un po di pasta asciutta e acqua abbiamo più autonomia di certi motori super affidabili. La prova la termino al limite dei crampi, al ristoro me la prendo comoda, ripartendo con il gruppetto degli italiani, inizio a capire che è quasi fatta. Il trasferimento ci porta ad arrivare a Sauze D'Oulx per poi prendere una seggiovia, qui si aspettano tutti per poi fare un'ultima discesa tutti insieme fino all'arrivo. C'è quasi un'ora per chiacchierare e provare a rendersi conto della strada fatta, alle 13 in punto partiamo per un'ultima discesa a picco su Sauze, ha piovuto un po e anche gli ultimi minuti di questa storia sono viscidi, pieni di rischi e pericolosi, lucidità mi ripeto, sono avvolto dai pensieri negli ultimi metri, ho riposto così tante energie in questa avventura e non so se è un bene o un male. Me la godo, arrivo sotto l'arco incredulo, non so le volte che ho provato a immaginare questo momento, ma sono li, adesso c'è l'ho fatta, al traguardo ci sono i miei genitori, Giomaria, Lorenzo e Giacomo, vengo lavato da una bottiglia come è giusto che sia, è fatta e non ci posso ancora credere. Anche la premiazione di questa manifestazione non è banale, quando vieni chiamato cammini lungo un muretto dove sono seduti tutti quelli che l'hanno resa possibile, un grazie enorme va a loro e a tutti quelli che hanno dedicato una settimana della loro vita per far vivere un sogno a noi scappati di casa. Indosso la maglia di finischer, solo la metà dei partecipanti solitamente ha questo lusso. Siamo tutti sul palco a fare una foto come l'ultimo giorno di scuola, ho passato una settimana a patire ogni tipo di crisi e dolore e già mi manca tutto ciò, assurdo eh? Qui si conclude questa storia, la cosa sorprendente di tutto ciò?

Ho ancora voglia di pedalare.


La parte più importante.

Della parte più importante di tutta questa storia non ho raccontato nulla, questa parte si chiama Adriano e la tengo tutta per me. Quello che mi va di dire è che non c'è stato un solo minuto in cui non pensassi a te, te lo avevo promesso che c'è l'avrei fatta, sarai sempre con noi.


 
 
 

1 Comment


laspice
Sep 17, 2021

Immenso Mattia! Umile e tenace! Fieri di te! angela


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