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Alba in Punta al Monviso

  • Immagine del redattore: Mattia
    Mattia
  • 19 feb 2019
  • Tempo di lettura: 6 min



Questa è la storia dell'alba più emozionante della mia vita, probabilmente non basterebbe un libro per descrivere i colori visti e le sensazioni vissute quella mattina presto a 3.841 m. di quota, ma proverò ugualmente a raccontarvelo.

Tutto è nato da una «tradizione» con un caro ex compagno delle scuole superiori, annualmente e per svariati anni consecutivi c'è stato l'appuntamento fisso per l'ascesa al Re di Pietra, qualche volta accompagnando qualcuno, altre volte in toccata e fuga come scheggie, il 4/5 di Settembre sarebbe toccata nuovamente quella faticaccia. Questa volta non sarebbe stata come tutte le altre volte, volevamo essere in vetta per vedere l'alba, ciò comportava non dormire e effettuare una salita toccata e fuga, senza appoggi, leggeri e sapendo di non sbagliare la salita con il buio della notte. Le poche e stressanti ore prima della partenza sono quelle in cui dovresti dormire ma non riesci, mangi qualcosina, guardi un po di TV, e quando arriva l'ora in cui solitamente vai a dormire, il tuo compagno di gita passa a prenderti direzione Pian del Re. Durante il viaggio penso che ad alcune cose non ci si abitua mai, e spesso sono o un pugno o una carezza, per me il Monviso riesce a essere sempre entrambe le cose.

Una carezza, quando lo vedi svettare lontano all'orizzonte, dal balcone di casa, così elegante e delicato, come un simbolo, quando lo vedo so che sono a casa.

Un pugno, come ogni volta che arrivo al Pian del Re e lo vedo lì, che svetta nel cielo, quella sera tra le stelle e un paio di nuvole passeggere, imponente, immenso, silenzioso, capisci che è lui che comanda, e noi siamo solo ospiti.

Ve lo dico con il cuore, quella sera, come ogni volta che l'ho scalato, me la facevo sotto.



Facciamo gli zaini, stringiamo gli scarponi e iniziamo a camminare, la luna ci fa compagnia, nonostante non sia piena rende a tratti superflua la pila frontale. In un attimo siamo al lago Fiorenza, a passo costante ma non troppo veloce, chi è stato qui conosce bene il meraviglioso fenomeno del Monviso riflesso nell'acqua, quella sera particolarmente piatta, quasi non si distingueva l'immagine vera da quella riflessa, e il maestro silenzioso si fa ancora più grande. Senza troppe chiacchiere superiamo il lago Chiaretto per poi arrancare sull'infinita pietraia morenica che ci condurrà al Rifugio Quintino Sella, dove tiriamo un attimino il fiato, mangiamo qualcosa e aggiungiamo uno strato di vestiti. Sono seduto sui tavoli esterni, sarà forse l'una di mattina, all'orizzonte la pianura è illuminata dalle luci delle città, che gioco a riconoscere, e non posso fare a meno di pensare alle persone che sono comode e al calduccio nelle loro case, mentre io sono lì, un pochino più in alto, e il quesito sorge spontaneo: ho freddo, ho sonno, ho fame, sono stanco, il tutto a neanche 20% dell'impresa, che senso ha tutto ciò? Non trovo una risposta.



C'è una stellata pazzesca e riparte questa marcia lenta e scandita solamente del rumore dei sassi sotto i nostri piedi, prossima pausa Colle delle Sagnette, dopo l'interminabile via attrezzata arriviamo senza troppe difficoltà, ci fermiamo qualche minuto, torno a ripensare a cosa sto facendo, constato che chi fa la normale del Monviso (me compreso le volte precedenti) vede l'alba proprio qui, alle Sagnette, fino a qui la via è chiara, il sole sorge quando hai bisogno di aguzzare la vista sulle traccia e gli ometti che caratterizzano la strada. Noi siamo qui, mancano ancora almeno 4 ore alle prime luci del mattino, e la sud è avvolta dall'oscurità, confido nella mia memoria ma sopratutto in quella del mio amico Davide, concludo con uno «speriamo» e chiudo anche questo capitolo.

L'altalenante percorso che caratterizza la parete Sud fino al Bivacco Andreotti è semplicemente lunare, immaginate delle formiche in mezzo a un mare di roccia, al buio poi, così è come mi sento, piccolo e insignificante, e così che mi sembrano le persone che si vedono solitamente con le loro pile, ma questa volta dietro e davanti a noi non c'è nessuno, ci facciamo strada, le traccie sono buone e non ci sono inconvenienti, giungiamo all'Andreotti, pausetta. La quota e il sonno iniziano a farsi sentire, quando mi siedo anche solo per un paio di minuti gli occhi si chiudono, sono 20 ore che non dormo e non farò un pisolino per almeno altre 15, bene, non pensiamoci, partiamo.

La parte dopo il Bivacco Andreotti è un breve nevaio spesso totalmente asciutto come in questo fine stagione, mentre poco dopo inizia la parte più tecnica, ora, ad alcuni di voi lettori può sembrare da folli affrontare totalmente al buio questa parte, ma questa volta ero particolarmente tranquillo, nessuno poteva scaricarci pietre addosso.

La cavalcata ha inizio, andiamo di buon passo, al punto da dover fare altre pause per non arrivare troppo presto, va tutto benissimo, giungiamo dove la via Est raggiunge la via Normale, abbiamo tempo di capire che l'orizzonte si sta schiarendo, il sorgere del sole non è lontano, procediamo ancora per qualche metro, alziamo lo sguardo e questa volta la pila frontale non illumina la solita tacca di vernice, ma la croce, sospiriamo, siamo poco sotto la vetta e un vento gelido inizia immediatamente a ricordarcelo, come se non l'avessimo capito. Difficile spiegare cosa avvenga dentro di me ogni volta che in quel passaggio, alzo lo sguardo e vedo quella croce, cinque anni prima la vidi per la prima volta, mio padre mi aveva portato fino su, ed è stato amore. Una scarica su per la schiena, un micro infarto, insomma non lo so, “ma ogni volta è un colpo all'anima” per dirla alla Ligabue, e capirete da voi che è buona cosa rubare qualche parola quando non sai trovare quelle giuste.



Rosicchiamo questi ultimi metri di quota, ci accucciamo come dei pinguini poco sotto la vetta, nella vana speranza di patire meno il freddo, non so quanti gradi ci fossero, ma il vento accentuava la croccantezza dell'aria. Sono seduto su un sasso tutto sommato comodo, ho addosso tutti gli strati che avevo e sto letteralmente battendo i denti, che freddo, il mio amico Davide viene accanto a me nella speranza di attenuare il gelo, manca ancora qualche minuto all'alba, minuti che sembrano un'eternità. Ho la macchina fotografica in mano, voglio immortalare questo momento, per me, voglio fermare quell'istante e portarmelo a casa, l'orizzonte inizia a infuocarsi, passano ancora dei minuti, il freddo è davvero insistente, arrivo a desiderare l'alba solamente perché mi scalderà, non per l'emozione dell'evento, non per le mie fotografie, voglio scaldarmi.

La magia sta avvenendo, uno spiccio di sole spunta all'orizzonte, la pianura è dettagliatissima, le luci che disegnano le città formano una mappa che sembra appoggiata su un'enorme tavolo davanti a me, sta succedendo, nasce un altro giorno e io sono in punta al Monviso.



Non so dire quanti colori ho visto quella mattina, decine, anzi migliaia di rossi, arancioni e gialli intensissimi, qualche nuvola all'orizzonte prende vita come il filamento di una lampadina, sento il calore sulla pelle, anche la pianura ne riceve e in pochi istanti la foschia la ricopre, solo i rilievi sbucano da questa leggera coltre. Anche le montagne iniziano a splendere, dal Monte Rosa, alle Alpi Liguri, sono tutte intorno a me e ho l'impressione di poter allungare il braccio e toccarle.

Non perdo tempo, sono a conoscenza di un fenomeno che si verifica nei primi minuti del giorno proprio quando il sole è basso. Per chi non lo sapesse il Monviso ha 2 punte, divise da una breve cresta, la seconda punta assai meno conosciuta non ospita croci, ma affaccia proprio verso il Rifugio Vallanta. A passo deciso procedo per questi pochi minuti di camminata, raggiungo Punta Nizza, ed è davanti a me, quello che io chiamo la Monviso-Ombra, al nascere del sole, la forma a piramide che siamo abituati a vedere viene proiettata a Ovest dall'alba, ed è impressionante, immaginate di vedere un'ombra di chilometri a forma piramidale sul lato oscuro del Viso, fantastico, Modalità Piero Angela OFF.



E' un fenomeno eccezionale, che mi emoziona quanto l'alba che ho appena visto, scatto fotografie come un cinese a Pisa, so che non capita di vedere tutti i giorni cose del genere, sono al settimo cielo, mi giro e vedo poco lontano la Croce, qualcuno dopo di noi è arrivato in vetta e alza le braccia al cielo, faccio un'altra fotografia.



Per qualche minuto mi sembra di essere sul confine tra fantasia e realtà, forse a causa della stanchezza, o semplicemente ho assistito all'alba più emozionante della mia vita, e proprio queste emozioni mi stordiscono più della quota. Raggiungo nuovamente i miei compagni sotto la croce, mi siedo, mangio qualcosina e nella mia testa vado a ripescare una domanda che mi ero posto alcune ore prima: ho freddo, ho sonno, ho fame, sono stanco, e mancano almeno 6 ore di camminata alla macchina, che senso ha tutto questo?

Adesso ho trovato la risposta.




 
 
 

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